Dopo la recente trasposizione della Commedia dell’Arte di Goldoni e Molière in dialetto romanesco e l’incredibile successo dell’interpretazione de Il Conte Tacchia Mercoledì 20 gennaio al Teatro Tirso de Molina ha debuttato Pietro Romano con “Il Marchesino del Grillo”.
L’idea che conduce alla stesura del testo ha origine immediatamente dopo aver indossato i panni del Marchese Onofrio del Grillo (e del famoso ‘carbonaro’, Gasperino), nel 2008, grazie ai consensi del pubblico che non solo ha assicurato il sold out per tutte le repliche, ma ancora oggi ne fa grande richiesta.
Al talento di autore, regista e protagonista, di Pietro Romano, si aggiunge un preparatissimo cast a fare da cornice alla storia: alla morte del Marchese, il Notaio (Luigi Tani) convoca gli eredi del de cuius a palazzo, per l’apertura del testamento: Floria (Valeria Palmacci) con il marito, Mario (Valentino Fanelli), nipoti ‘storici’ del Marchese come Galeazzo (Matteo Montalto) e Yolande (Sara Adami), promessi sposi. È altresì necessaria la presenza dell’amministratore di famiglia, Speranzio (Marcopaolo Tucci), tutti falchi – sul patrimonio – ognuno con l’ardire di voler sorprendere. In ogni palazzo ‘per bene’, naturalmente c’è la serva, Assunta (Claudia Tosoni), impegnata in molto più delle faccende ordinarie. E per mantenere alto il titolo, quanto ad usi e costumi, è indispensabile l’intervento di Adalberto Marini Recchia, maestro di buone maniere (Pierre Bresolin, che interpreta anche il ruolo del Prete, al funerale del Marchese). I colpi di scena, però, a firma di Romano, non finiscono mai…
“Per un autore ed attore romano, non credo – racconta Pietro Romano – ci sia esperienza artistica più alta che interpretare Il Marchese del Grillo e avendo avuto la fortuna di portarlo sulla scena nel 2008 e non per la prima volta, ma debuttando come protagonista, da subito sentii il bisogno di inventare il modo perché l’avventura non terminasse alla chiusura del sipario dell’ultima replica. Nel mio percorso introspettivo – prosegue l’attore – c’è sempre il gusto di immaginare il personaggio nella sua totalità storica, prima, cioè, e dopo l’arco temporale elaborato nella sceneggiatura. Con Onofrio del Grillo tale e tanta fu la passione, che mi incuriosiva particolarmente l’eventualità di un seguito, che gli consentisse di non esaurire l’episodio artistico in ciò che il pubblico ormai avrebbe indiscutibilmente amato e ricordato per sempre. Proprio per questo gli ‘dovevo’ altro. Così è nata l’idea de Il Marchesino del Grillo. C’è da dire – conclude Romano – che tengo particolarmente a dirigere i miei spettacoli con un’attenzione che io stesso definirei maniacale, forse oggi purtroppo un po’ démodé (mi scuso con i colleghi, ma è la verità), quanto alla cura dei personaggi pensati uno ad uno con vero e proprio amore paterno e alle dinamiche dello spettacolo: a ciò aggiungo che ho sentito da subito nascere sotto la stella della grande sfida la responsabilità di un’opera del genere il cui nome merita tutto l’onore di cui un artista è capace. Ometterei il resto, perché a Roma ha un senso specifico chiedere all’oste cosa pensi del proprio vino! Vero è che se ‘il lavoro nobilita l’uomo’, non avrei avuto migliore occasione per ‘blasonarmi’ da me!”.
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