Stiamo assistendo sempre più spesso, su giornali e televisioni, a un’antropomorfizzazione galoppante degli animali. Io stesso mi accorgo sempre di più di questa tendenza, parlando con la gente (e scontrandomici spesso). Ebbene, se per noi è inevitabile proiettare caratteristiche tipicamente umane sulle altre creature (dopotutto, l’uomo è antropocentrico per definizione e per natura, non ci si può proprio far nulla), è anche vero che la faccenda sta raggiungendo livelli preoccupanti. Questo comportamento sarà anche frutto di quel velo di perbenismo sempre più spesso e opprimente che attanaglia la nostra società, ma io di vedere cani “conciati” come pupazzi, agghindati con nastrini e fiocchettini, o trattati come bambini ritardati, non ne ho più voglia. E purtroppo questo comportamento non riguarda solo i cani.
Maestra in questo campo è stata la Disney, che ha saputo da sempre sfruttare gli animali in modo magistrale a proprio vantaggio. Proporre gli animali come protagonisti dei film, disegnarli con tratti spiccatamente umani e farli agire secondo l’umana natura è stato, in un certo senso, un colpo di genio. Il problema è che per molti non esiste più la distinzione fra i film e la realtà. Parlando con molti esponenti della mia specie mi sono reso tristemente conto che la massa suddivide spesso gli animali in due categorie: quelli “buoni e carini” e quelli “brutti e cattivi”. Alla prima appartengono cani, gatti, cavalli, asini, uccellini assortiti, criceti e porcellini d’India, senza dimenticare scimmiette, delfini e orsacchiotti (ma solo da cuccioli, beninteso). Alla seconda, tutti gli altri. Soprattutto ragni, scorpioni, insetti assortiti, squali, pipistrelli, lucertole, meduse, serpenti, rane e rospi. Classificare gli animali in base alla somiglianza con l’uomo, ai benefici che possono apportare al noastro portafogli o al grado di pericolosità è qualcosa di estremamente triste.
Purtroppo l’antropomorfismo ha radici profonde, ben piantate nell’intelaiatura di innumerevoli racconti, miti, leggende e superstizioni. Per scalfire questo muro di gomma, vale forse la pena dare una breve occhiata ad alcune delle specie che maggiormente hanno risentito di questa pessima abitudine. Quella più emblematica è il lupo, perseguitato per secoli (e ancora oggi) perchè creduto una bestia feroce e pericolosa. A causa di questa leggenda, i lupi sono stati letteralmente massacrati in gran parte del mondo e pure ai giorni nostri stanno faticando non poco a farsi accettare dalla gente. Con un minimo di cultura naturalistica in più, la gente capirebbe che questo straordinario predatore non rappresenta alcun pericolo per l’uomo e che ha un’importanza vitale per l’ecosistema dei nostri boschi. I pipistrelli, altre creature affascinanti, vere e proprie meraviglie dell’evoluzione, sono considerati malvagi al pari di ragni e serpenti. Non parliamo degli squali, che secondo alcuni sono solo esseri da sterminare per “rendere sicuri i mari”. Tutti coloro che vanno cianciando di questi animali, non hanno ben chiaro un concetto fondamentale: la “cattiveria” è, per definizione, un agire in modo sbagliato e/o crudele facendolo consapevolmente. Penso e spero che sia chiaro a tutti che non è questo il caso di queste creature, che si comportano solo secondo la loro natura e senza la minima intenzione di fare del male. Se un lupo sbrana un capriolo, o se uno squalo fa fuori una foca, si tratta di sopravvivenza. Le leggi della natura. Dopotutto, loro non hanno i supermercati come noi, che altrimenti saremmo costretti a fare come loro. E ve lo vedete un lupo che spinge un carrello pieno di broccoli? Certo, un animale che agisce spesso crudelmente, e con consapevolezza (quindi tranquillamente definibile “cattivo”), c’è: l’Homo sapiens. Per cui, non commettiamo l’errore di pensare che gli altri animali condividano il nostro -spesso bieco- modo di pensare e agire. Se lo sapessero ci querelebbero per calunnia.
Ma i guai dell’antropomorfismo non finiscono qui, perchè molte specie hanno subito l’effetto contrario. Visti come “buoni” a tutti i costi, queste creature vengono bersagliate da eccessive attenzioni che li snaturano e li umiliano. Cani trattati come bambini (bambini con problemi mentali, aggiungerei) che vengono vestiti da capo a coda con ridicoli vestitini da persone che hanno ormai perso il senso della realtà. Gatti che subiscono la stessa sorte. C’è chi è realmente convinto che queste creature pensino e ragionino come esseri umani. Via quindi al business dei vestiti per cani, delle pappette raffinate (come se il cane si accorgesse che le “verdurine” nella sua scatoletta provengono da colture biologiche), degli allevamenti dei cani di razza, dei concorsi e delle esibizioni. E’ ora di farsi qualche domanda. Un cane è felice di esibirsi in posa, immobile per ore? E’ felice di sfilare su una passerella? Non preferirebbe forse correre su un prato? Questo modo di trattare i cani li snatura, li rende infelici. E la prima regola per il benessere di un animale è rispettare la sua etologia. Altri animali hanno subito addirittura sorti peggiori. Gli scimpanzè sono scimmie antropomorfe che in natura sono seriamente minacciate di estinzione, e con un maschio adulto selvatico non ci sarebbe niente da scherzare. Dotati di una forza e un’agilità impressionanti, sono i veri padroni delle loro foreste. Eppure, nella storia recente gli scimpanzè sono stati a più riprese umiliati e derisi dall’uomo. Sono stati costretti a infilare ridicoli vestiti e a esibirsi in buffi numeri: nei circhi e in svariati film fanno letteralmente la parte dei clown. Una meravigliosa creatura selvatica ridotta a una macchietta, con la sola colpa di assomigliare vagamente a un uomo. I delfini sono altri animali fortemente colpiti dall’antropomorfizzazione dilagante, e a causa della loro espressione che ricorda un sorriso hanno la fama di “buoni” cucita addosso. Conosco persone che mi hanno ripetuto più volte che il loro sogno è incontrare un branco di delfini selvatici, in aperto oceano, per potersi tuffare in mezzo a loro e giocare con loro. Beata ignoranza!
I delfini, in natura, sono animali estremamente curiosi e intelligenti, ma anche forti e imprevedibili. Impossibile dire come reagirebbero nel trovarsi una persona sghignazzante che si tuffa in mezzo a loro. Di sicuro, sarebbe una situazione estremamente pericolosa. La lista non finisce qui, e questa smania di voler pensare agli animali con caratteristiche forzatamente umane rende molte persone incapaci di sapere come comportarsi quando si trovano di fronte un selvatico. Recentemente ho letto di una persona morsa da una volpe nel suo giardino, perchè trovandola nell’erba all’imbrunire aveva cercato di accarezzarla. Altri, trovando un animale selvatico ferito, preferiscono portarselo a casa per “coccolarselo” un po’ anzichè chiamare gli organi peposti al recupero e alla cura delle specie non domestiche. Nel peggiore dei casi l’animale muore per mancanza di cure adeguate, nel migliore dei casi resterà imprintato con l’uomo e non gli sarà più possibile vivere libero nella natura. Emblematiche quelle persone che, con la mente annebbiata dal film “Bambi”, raccolgono i piccoli caprioli che trovano nelle radure credendoli abbandonati. Non sanno che in realtà le madri lasciano i cuccioli in attesa, e che poi tornano a riprenderli. E che prelevare il piccolo significa condannarlo a morte, o al limite a una vita in cattività. Certe persone, messe di fronte all’evidenza della loro esagerazione, diventano addirittura aggressive contro chi non la pensa come loro. Io li chiamo gli “animalisti disneyani”, e penso di avere abbastanza esperienza per affermare che si tratta di una categoria di persone ben diversa da chi ama davvero la natura. Perchè in qualunque modo la si rigiri, l’eccessiva antropomorfizzazione degli animali porta solo guai. Gli animali non sono esseri umani (se ne guardano bene), e non vanno trattati come tali. Ogni specie va rispettata per quello che è. Non esistono animali buoni o cattivi, di serie A o di serie B. Solo creature meravigliose, ognuna funzionale al grande piano di Madre Natura, e tutte vanno tutelate e lasciate libere di esprimersi per quello che sono.