“Nessuno nasce odiando i propri simili a causa della razza, della religione, o della classe alla quale appartengono. Gli uomini imparano a odiare, e se possono imparare a odiare possono anche imparare ad amare, perchè l’amore, per il cuore umano. è più naturale dell’odio”.
Nelson Mandela
Questo è il preludio ad uno dei tanti capolavori firmati Newton Compton Editori, che non risparmia sorprese ai lettori, e nato dalla penna di Suzy Zail, ossia La pianista di Auschwitz.
Già affermatasi con il romanzo Il bambino di Auschwitz, che narra la storia vera di Alexander Altmann (prigioniero n. A10567), fanciullo che conobbe umiliazioni, violenze e soprusi. Per sopravvivere gli era stato affidato il compito di domare il nuovo cavallo del comandante di Auschwitz, la giovane Suzy, residente a Melbourne.
Adesso si dedica pienamente alla scrittura solo dopo aver esercitato per alcuni anni la professione di avvocato.
Il romanzo è un resoconto narrato da Hanna Mendel (protagonista), quindicenne innamorata della musica che durante il rastrellamento è stata separata dalla famiglia e costretta a lottare all’interno dei campi di Auschwitz insieme alla sorella Erika. All’interno dell’opera gli orrori nazisti, e il filone storico alquanto tetro, sono contrastati dall’amore di Hanna per la musica (ad evidenziare la sua passione è il fatto che la ragazza porta dietro sempre con sé una corda di piano, precisamente il DO), amore che cambierà le sorti della sua vita.
Alla fanciulla infatti durante la sua permanenza al lager, viene proposto di suonare il piano per il comandante del lager. Quando si reca nella residenza dello spietato nazista però incontra il figlio dello stesso, Karl, che prova per il padre più o meno lo stesso odio provato dalla ragazza. In un primo momento Hanna difficilmente si abituerà all’idea di dover suonare per gente che la vuole morta tuttavia sul finire della storia, in lei nascerà un secondo amore, proprio per Karl.
Alla fine della storia sarà il giovane stesso a mettere sia Hanna che Erika nelle condizioni favorevoli alla fuga così da evitare loro ulteriori sofferenze e farle tornare in Ungheria dove finalmente potranno vivere in una condizione di totale libertà.
A parlare sul romanzo è la scrittrice che afferma di aver messo in gioco la sua fantasia nella creazione dei personaggi: “Ho imparato che cosa è stato l’Olocausto da mio padre, che aveva tredici anni quando fu caricato su un carro bestiame diretto ad Auschwitz, e mi ha raccontato la sua storia solo quando ero ormai adulta e dopo che gli era stata diagnosticata una malattia terminale. Non mi aveva raccontato prima della sua esperienza, perchè pensava che il modo migliore di superare l’orrore e costruirsi una nuova vita in Australia fosse lasciarsela alle spalle. Io sapevo, invece, che il solo modo di assicurarsi che non sarebbe più successo era continuare a parlarne. Ho scritto la sua storia. Quindi ho scritto La pianista di Auschwitz. Non pretendo di sapere come ci si sentisse a essere imprigionati a Birkenau. Credo che nessuno possa davvero capire senza esserci stato. Ma è importante provarci. Leggere libri di storia e memorie, parlare dell’Olocausto e scriverne sono i modi migliori per evitare che accada di nuovo”.